mostra

Peyron

In bicicletta a Millefonti, 15 anni prima.


Mio padre Amedeo Peyron, neo-consigliere comunale e futuro sindaco, già nel 1946 vedeva in quell'area abbandonata il futuro di Torino.

Da sempre ai piedi della collina torinese, tra l’alveo del fiume Po, dopo la confluenza con il torrente Sangone, e la ripa su cui sorgono oggi le propaggini meridionali della Città di Torino con il quartiere del Lingotto, si pone a ventaglio un ampio ripiano sabbioso formato dalle ricorrenti esondazioni dei due fiumi, (detto di Millefonti per l’evidente sgorgare di molte acque tra la ripa ed il fiume), che si diparte stretto allorché la ripa è tangente con il profondo intaglio del Po nella zona Molinette, per poi allargarsi sino al limite dell’ultimo tratto dell’allora sinuoso e profondo bordo tufaceo del Sangone, confluente con il grande Fiume. E’ luogo desertico ed incolto (ben sanno i giardinieri del Comune con quanta fatica cercheranno nel 1960 di piantare ben duemila alberi di alto fusto).

Su tale ripiano ben delimitato dalla felice combinazione naturale di collina, fiumi, contrafforte alluvionale, sorgeranno le imponenti costruzioni per le celebrazioni del Centenario dell’Unità d’Italia nel 1961, quasi a prosecuzione ideale e geografica del Valentino sede nel 1911 delle Celebrazioni del cinquantenario.

Già nel 1959 sorge all’inizio del nuovo Corso Polonia, che da poco tempo fende l’altipiano, il nuovo Palazzo del Museo dell’Automobile, al di sotto del nuovo fabbricato del Centro Traumatologico Ospedaliero, alto sulla ripa costruito dalla stessa amministrazione Peyron. Seguiranno a sinistra nell’area più suggestiva lungo la sponda del fiume le palazzine della Mostra delle Regioni d’Italia a ciascuna assegnate. Al fondo nella parte più ampia le ciclopiche e modernissime invenzioni architettoniche del Palazzo a Vela degli Architetti Ricotti, con tre piccoli punti di appoggio della duplice Vela cementizia, e del Palazzo del Lavoro degli architetti Nervi, un immane parallelepipedo di cemento, metallo e vetro, con quattro lati di 160 metri ciascuno (due volte l’ampiezza di Piazza San Carlo), costruito su 16 colonne-pilastro di ventidue metri e mezzo, più alte di quelle di tutte le costruzioni antiche e moderne; due dei migliori monumenti dell’architettura italiana contemporanea.

In alto: 4 Settembre 1951 Il Sindaco di Torino Amedeo Peyron con i suoi primi due figli Emanuele ed Ettore al Motovelodromo parla con il grande campione ciclistico Costante Girardengo, Commissario Tecnico della Squadra Ciclistica Nazionale Italiana.

A sinistra: 9 Maggio 1961 Il Sindaco Peyron accoglie la Regina Elisabella.

Il tutto messo a punto per la primavera del 1961. Così un nuovo giardino roccioso ospita nell’ultima parte del Valentino presso la discesa lungo il Palazzo di Torino Esposizioni  la parte esterna e rispettivamente quella interna della stupenda Mostra internazionale di “Flor 61”.

Tornando indietro di quindici anni da queste celebrazioni, ricordo da ragazzo dopo la fine della seconda guerra mondiale, quando con mio padre ed i miei quattro fratelli più grandi (gli ultimi due andavano ancora in triciclo), lui a cavallo di una bicicletta con enormi ruotoni ed un vistoso monogramma FIAT sulla moltiplica (donata da suo padre nel 1917), noi con le nostre cinque biciclettine, lasciando la nostra abitazione di Via Nizza, percorrevamo il vicino Valentino, volando quindi per la velocissima discesa della “Fontana delle stagioni” nel sottopassaggio del Ponte Isabella; e di qui dopo un ultimo breve tratto di strada asfaltata di fianco all’Ospedale delle Molinette, ci inoltravamo per una strada sterrata che attraversava il bellissimo piano deserto, posto tra il Po e la robusta riva tufacea che reggeva i borghi del Lingotto e di Millefonti.

Ricordo i latrati dei cani del modestissimo canile municipale, unici abitanti del luogo. La gita terminava per lo più al profondo intaglio del Sangone, che prima di confluire con il Po disegnava un’ampia sinuosità.

Con tono sapienziale nostro padre, da poco consigliere comunale, eletto nell’autunno del 1946, ogni volta ci ricordava che qui sarebbe stato il futuro di Torino; un altro parco più grosso e più bello avrebbe rappresentato la naturale prosecuzione del Valentino, ed una delle porte di ingresso più belle ed importanti della nostra città. Egli ci precisava che ben saggi erano stati i nostri antenati ad aggiungere due archi al Ponte Isabella, onde permettere un naturale attraversamento al di sotto del Corso Dante servito dal Ponte

Ho il ricordo ben vivo dell’entusiasmo con cui descriveva questa possibilità futura, quasi intravedendo le superbe costruzioni e manifestazioni di “Italia 61”.   Quante volte peraltro ci ricordava le prestigiose Celebrazioni del 1911 al Valentino, da lui vissute da ragazzo della nostra età.